Plastica negli oceani, intatta dopo 20 anni

La plastica rimane intatta dopo 20 anni di immersione negli oceani. È quanto rivela una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports, condotta dall’istituto tedesco GEOMAR. È noto che la plastica abbia bisogno di diversi secoli per potersi degradare, ma questo nuovo studio potrebbe addirittura estendere le tempistiche fino a oggi previste.

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I ricercatori hanno recuperato dei campioni di plastica, rinvenuti a 4.150 metri di profondità nell’Oceano Pacifico. Non solo questi rifiuti risultavano del tutto intatti, ma la loro superficie aveva stimolato un’insolita proliferazione microbica.

Sebbene la plastica richieda diversi secoli per la sua degradazione, gli esperti si sarebbero attesi un’iniziale processo di decomposizione. Invece, i rifiuti risultavano completamente intatti, come se fossero stati prodotti da poco.

Per datare i campioni raccolti nell’oceano, i ricercatori hanno analizzato i brand riportati sulla confezione e i loro codici a barre. In particolare, due confezioni prodotte nel 1988 e nel 1996 non mostravano alcun segno di degradazione. Ad attirare l’attenzione anche una lattina di Coca-Cola, sigillata in un sacchetto di plastica. Il contatto tra l’alluminio e l’acqua salata avrebbe portato a una naturale decomposizione nel corso degli anni, ma la busta ha evitato questo processo, mantenendo integro il contenitore della bevanda.

Non è però tutto poiché, come già accennato, i rifiuti di plastica abbandonati in mare stimolano una moltiplicazione microbica anomala. Batteri e microbi rinvenuti su confezioni e buste sono infatti molto diversi rispetto alla varietà che si possono trovare sui fondali, un fatto che potrebbe alterare l’equilibrio degli stessi mari.

Oggi il 60% dei rifiuti presenti negli oceani è rappresentato proprio dalla plastica. I ricercatori del GEOMAR cercheranno di capire non solo gli effetti in termini di equilibrio microbico dei fondali, ma anche le origini di questi rifiuti. Poiché rinvenuti nelle profondità dell’Oceano Pacifico, lontano dalle coste, sarà interessare capire quali siano le correnti marine responsabili di questo trasporto.

Fonte: Science Alert