Foreste urbane, PEFC: 6 motivi per puntare sugli alberi

Le foreste urbane rappresentano uno strumento prezioso nella lotta ai cambiamenti climatici. A fare il punto della situazione è PEFC Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes). Alberi che hanno assunto un ruolo ancor più evidente durante la pandemia, che diverse voci riconducono alla perdita di patrimonio boschivo.

A beneficiare delle foreste urbane chi risiede e lavora nelle città, già ora capaci di generare l’80% dei gas responsabili dei cambiamenti climatici. Non solo, qui trova dimora il 70% della popolazione. Maria Cristina d’Orlando, presidente del PEFC Italia:

Le città quindi sono, e saranno sempre di più, responsabili del cambiamento climatico in atto e tutte le politiche volte al contrasto dell’innalzamento della temperatura terrestre dovranno partire dai centri abitati. La cura degli alberi è una disciplina molto evoluta e che porta importanti benefici: ci vogliono però tempo, risorse e lungimiranza amministrativa.

Proprio per questo PEFC, partendo dalla sua consolidata esperienza in materia di gestione forestale sostenibile acquisita in decenni di lavoro nella grandi foreste del mondo e nelle aree montane e interne della nostra penisola, sta lavorando a un nuovo standard di certificazione della corretta gestione delle foreste urbane, così che i proprietari o le amministrazioni possano certificare il proprio impegno e la propria gestione sostenibile delle alberature.

Foreste urbane, una sfida da vincere secondo PEFC Italia
Alberi alleati straordinari secondo Antonio Brunori, segretario generale del PEFC Italia, che sottolinea però la necessità una corretta gestione del verde. Che passi non soltanto per la scelta “dell’albero giusto al posto giusto”, ma anche per competenze di “pianificazione, progettazione, gestionali e operative”:

La sfida è ancora più impegnativa per il settore tecnico perché l’ambiente artificiale in cui si inserisce attualmente la vegetazione è meno ospitale di quello del passato, per il suolo più compattato, la maggior cementificazione, con eventi atmosferici estremi (vento, piogge, gelate e alte temperature, siccità) più frequenti e dannosi.

Crediamo fermamente nel ruolo che possono svolgere gli alberi in questo contesto e per questo stiamo anche lavorando a stretto contatto con il Comitato Alberitalia per portare a termine il grandioso progetto che prevede la messa a dimora di 60 milioni di nuovi alberi in Italia, che PEFC punta a collocare in contesti di pianura e urbani.

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Alberi in città: 6 motivi per curarli e piantarne di nuovi
PEFC Italia ha diffuso un elenco di motivi per i quali gli alberi in città dovrebbere essere curati, ma non solo. Si dovrebbe anche piantarne di nuovi:

Riduzione inquinamento atmosferico – Con oltre 66.000 decessi prematuri all’anno l’Italia è il Paese UE più colpito per mortalità connessa al particolato (PM10 e PM2,5). Il ruolo degli alberi urbani nell’assorbimento e riduzione di tali particelle è fondamentale. Si calcola che ogni ettaro di foresta urbana sia in grado di assorbire fino a 30 kg di PM10 all’anno.
Riduzione CO2 e sequestro di carbonio – Le città generano l’80% di emissioni di gas serra. Le piante urbane giocano un ruolo cruciale grazie alla loro capacità di sequestrare la CO2 attraverso la fotosintesi e quindi di immagazzinare carbonio (carbon sink) nella biomassa vegetale e nel suolo. Una pianta con caratteristiche nella media situata in un clima temperato e in città assorbe tra i 10 ed i 20 kg CO2/anno.
Riduzione temperature in eccesso – 
Altro fenomeno drammatico in termini ambientali e che rischia di abbassare la qualità della vita delle persone è quello delle isole di calore. Tali aree determinano un microclima più caldo (tra 0,5 e 3°C) all’interno delle aree urbane cittadine rispetto alle circostanti zone periferiche e rurali. A differenza degli edifici, gli alberi quando si surriscaldano emettono vapore acqueo dalla chioma, contribuendo ad abbassare la temperatura delle foglie e dell’ambiente circostante. Con l’ombreggiamento e l’evapotraspirazione, gli alberi possono contribuire a una riduzione della temperatura mediamente di 3.5°C. Quindi anche ad una riduzione dell’uso dei condizionatori fino al 30%.
Aumento valore immobiliare – I servizi ecosistemici su tutto il territorio nazionale hanno un valore annuale complessivo che si stima arrivi a superare i 220 miliardi di euro. Si tratta in gran parte di un valore non riconosciuto dal mercato. Ma negli ambiti residenziali gli alberi hanno un valore economico diretto e tangibile. Generano un miglioramento urbano e aumentano l’appetibilità del luogo – e quindi il valore degli immobili – anche del 20%.
Regolazione acqua e rischio idrogeologico – Gli alberi e le radici possiedono qualità straordinarie che consentono di svolgere un’azione protettiva nei confronti delle comunità. Rallentano i tempi di corrivazione dell’acqua piovana e il deflusso, soprattutto durante fenomeni meteorologici estremi come le sempre più frequenti bombe d’acqua, contribuendo a ridurre l’erosione del suolo e il rischio di esondazione. Senza l’azione degli alberi, si calcola che ogni anno lo Stato italiano dovrebbe spendere per la riduzione del rischio idrogeologico dai 35 ai 149 miliardi di euro.
Creazione spazi ricreativi e di aggregazione
 – Un beneficio immateriale strategico importantissimo, emerso chiaramente nei mesi di lockdown, è l’offerta di spazi ricreativi e di aggregazione. I parchi alberati e le foreste urbane costituiscono degli ambienti naturali in cui le persone possono incontrarsi, giocare e interagire. Aumentando di conseguenza il valore delle aree limitrofe e contribuendo alla creazione di identità locale e di nuove opportunità culturali e formative.

 

fonte: greenstyle.it

 

Inquinamento atmosferico causa morti premature, Harvard conferma

L’inquinamento atmosferico è legato direttamente al tasso di mortalità prematura. Questo secondo quanto hanno affermato i ricercatori della Harvard University’s T.H. Chan School of Public Health. Gli studiosi statunitensi affermano di aver collegato in maniera evidente morti premature e concentrazioni di particolato fine (PM2.5) nell’aria.

I ricercatori hanno analizzato i dati, relativi agli ultimi 16 anni, di 68,5 milioni di iscritti a Medicare. Di questi circa il 97% risultano statunitensi di età superiore ai 65 anni. Lo studio ha confrontato i dati sui livelli di inquinamento atmosferico con quelli di residenza dei partecipanti. Allo scopo di ottenere una stima verosimile dei livelli giornalieri di PM2.5 gli studiosi si sono avvalsi anche di dati satellitari e hanno analizzato variabili meteorologiche e altri fattori.

Coronavirus: inquinamento atmosferico aumenta il tasso di mortalità
Nel definire l’incidenza del particolato sottile sul tasso di mortalità sono stati considerati anche eventuali fattori di rischio. Tra questi età, vizio del fumo, etnia, indice di massa corporea e livello di educazione. In base alle stime soltanto negli USA potrebbero essere salvate 143.257 vite (6-7% delle morti) all’anno rispettando il limite di 10 microgrammi per metro cubo stabilito dall’OMS. Come ha dichiarato Xiao Wu, dottorando Harvard e co-autore dello studio:

Il nostro studio ha incluso il più grande corpo dati riguardante gli anziani statunitensi e utilizzato metodi multipli di analisi, inclusi metodi statistici per inferenza causale, per mostrare che gli attuali standard USA sulle concentrazioni di PM2.5 non sono sufficienti a proteggere i cittadini e i limiti dovrebbero essere abbassati per assicurare la tutela delle popolazioni più vulnerabili come ad esempio gli anziani.

Fonte: Science Advances

 

Gli animali da compagnia potranno essere seppelliti insieme ai padroni

Dalle playlist a loro dedicate al diritto di passare l’eternità insieme ai loro padroni: finalmente inizia un cambiamento in tema di diritti degli animali domestici. In Liguria ora è consentito tumulare, dopo la cremazione e in un’urna separata, le ceneri degli animali. Si può fare all’interno del monumento funerario dedicato ai padroni. Occorrerà solo un’apposita richiesta avanzata dallo stesso ante mortem o dagli eredi.

Gli oneri derivanti dalla tumulazione dell’animale saranno a carico di chi la dispone e il loro costo da definire. A decidere sarà il Comune del cimitero di tumulazione in base alla durata della concessione residua. La procedura è regolata da un articolo della proposta di legge sulla “Disciplina in materia di attività e servizi necroscopici, funebri e cimiteriali e norme relative alla tumulazione degli animali d’affezione”, che è stata approvata con 27 voti a favore e un astenuto dal Consiglio regionale. Una bella vittoria.

L’idea è stata presentata dai consiglieri Angelo Vaccarezza (Cambiamo!), Fabio Tosi (M5s) e Sergio Rossetti (Pd). Un vertice congiunto e unito che attraverso le parole di Fabio Tosi ha fatto sapere:

“I padroni trascorrono molto tempo con gli animali d’affezione, sono i compagni di una vita, autorizzando la loro tumulazione nella tomba del padrone diamo il via a un iter di grande civiltà e sensibilità. La proposta è nata dopo aver ricevuto numerose segnalazioni in questi anni, tantissimi cittadini mi hanno chiesto se fosse possibile trovare una soluzione dignitosa alla tumulazione dei loro amici a quattro o due zampe”.

 

fonte:greenstyle.it

 

Alpi rosa: alga trasforma il colore dei ghiacciai italiani

Le Alpi italiane si tingono di rosa e gli esperti temono si tratti di uno dei segnali più evidenti del cambiamento climatico. È quanto sta accadendo in questi giorni al ghiacciaio Presena, tra Trentino e Lombardia, dove è apparsa la misteriosa colorazione. Il fenomeno sarebbe causato da un alga, precedentemente rilevata in Groenlandia.

Neve verde in Antartide, colpa dei cambiamenti climatici
Al momento non è dato sapere come l’alga sia arrivata sul ghiacciaio, considerando proprio come sia originaria di luoghi remoti. Sulla questione è però intervenuto Biagio di Mauro, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il quale aveva già studiato il medesimo fenomeno in Svizzera. Così riferisce il Guardian:

L’alga non è pericolosa, è un fenomeno naturale che accade in primavera e in estate, alle medie latitudini ma anche ai poli.

L’alga in questione – l’Ancylonema nordenskioeldii – può però accelerare il processo di scioglimento dei ghiacci. Normalmente la superficie bianca dei ghiacciai è in grado di riflettere l’80% della luce solare, ma l’alga modifica la colorazione della superficie, trattenendo calore e velocizzando lo scioglimento del ghiaccio.

Tutto ciò che scurisce la neve ne causa lo scioglimento, perché accelera l’assorbimento della radiazione solare. Stiamo cercando di quantificare l’effetto del fenomeno oltre a quello umano sul surriscaldamento della Terra.

Saranno necessari ulteriori studi per comprendere le origini di questo fenomeno. Tuttavia, molti esperti ritengono che l’apparizione dell’alga possa essere direttamente collegata ai cambiamenti climatici. L’aumento delle temperature potrebbe averne favorito lo sviluppo, mentre la sua presenza – come già accennato – un fattore di accelerazione per lo scioglimento dei ghiacci. Il 2020 si riconferma quindi con un anno molto difficile per l’ambiente, inaugurato dagli incendi in Australia e proseguito con un aumento dell’inquinamento globale da plastica causato dalla diffusione del coronavirus.

 

fonte: greenstyle.it

 

Greenpeace, allarme mare: plastica liquida nei detergenti

Il mare potrebbe avere un nuovo nemico: secondo un nuovo rapporto Greenpeace le aziende utilizzerebbero plastica liquida, semisolida o solubile tra gli ingredienti dei detergenti per bucato, superfici e stoviglie presenti sul mercato italiano e l’uso di tali sostanze, ad oggi non regolamentato, ne determinerebbero il rilascio nell’ambiente e nel mare; una minaccia concreta che metterebbe a rischio la nostra salute e quella del nostro Pianeta.

Le aziende, interpellate da Greenpeace, hanno confermato l’uso di plastiche come ingredienti dei detergenti e la maggior parte è in formato liquido, semisolido o solubile; non solo: dei 1.819 prodotti controllati 427 (23% del totale) contengono almeno un ingrediente in plastica e le aziende con una percentuale maggiore di prodotti con plastica sono: Procter & Gamble (53% con prodotti a marchio Dash, Lenor e Viakal), Colgate-Palmolive (48% con prodotti a marchio Fabuloso, Ajax e Soflan) e Realchimica (41% con prodotti a marchio Chanteclair, Vert di Chanteclair e Quasar). Le analisi di laboratorio, il cui scopo era verificare la presenza di particelle solide inferiori ai 5 millimetri, hanno evidenziato che dei 31 presi in esame solo in due erano presenti: Omino bianco detersivo lavatrice color + dell’azienda Bolton e Spuma di Sciampagna Bucato Classico Marsiglia dell’azienda Italsilva.

Greenpeace per un futuro migliore
Dal 2018 l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) sta lavorando a una proposta di restrizione per vietare l’utilizzo di microplastiche aggiunte intenzionalmente in numerosi prodotti di uso comune tra cui cosmetici, detergenti, vernici e fertilizzanti. Questa proposta, da inserire nel regolamento europeo REACH, se approvata ridurrebbe il rilascio nell’ambiente di oltre 40 mila tonnellate di plastica ogni anno. Una speranza, dunque, si apre nel panorama di disastro ambientale presente. C’è da sperare che in futuro le istituzioni possano mostrare più interesse per la regolamentazione della presenza della plastica nei prodotti per la casa, che, purtroppo ad oggi, sono molto presenti, spesso senza che il contribuente ne sia pienamente consapevole.

 

fonte: greenstyle.it

 

Rifiuti in spiaggia: 654 ogni 100 metri di litorale

Sul fronte dei rifiuti in spiaggia è poco confortante il bilancio tracciato da Legambiente nel rapporto Beach Litter 2020. L’associazione ha svolto gli annuali rilevamenti lungo i litorali italiani, avvalendosi del supporto dei propri Circoli e del contributo di E.ON e Novamont. Un’indagine raccontata da Goletta Verde.

Mozziconi di sigaretta e stoviglie usa e getta sono i rifiuti più presenti in spiaggia. Da quest’anno cresce la quota di mascherine e guanti, utilizzati per difendersi dal Coronavirus e poi colpevolmente abbandonati nell’ambiente.

Legambiente ha monitorato 43 spiagge in 13 Regioni italiane, per un’area di circa 189mila metri quadrati, raccogliendo in totale 28.137 rifiuti. Il maggior numero di spiagge monitorate nella Regione Campania (10), seguita da Sardegna (8), Puglia (5), Sicilia (4), Lazio e Veneto (3 ciascuna). Due quelle controllate in Calabria, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia. Una in Basilicata, Liguria, Marche e Umbria (sulle sponde del lago Trasimeno).

Rifiuti in spiaggia, plastica il materiale più diffuso

Secondo Legambiente la “regina” dei rifiuti in spiaggia si conferma la plastica la cui quota supera, in circa metà dei tratti costieri, il 90% del totale. In media rappresenta l’80% del raccolto nelle varie Regioni. A seguire vetro/ceramica (10%), metallo (3%), carta/cartone (2%), gomma (2%), legno lavorato (1%). L’ulteriore 2% è composto da vari altri materiali.

Il grosso è rappresentato da frammenti o pezzi di dimensioni comprese tra 2,5 e 50 centimetri. Tra questi rientrano ad esempio i mozziconi di sigaretta e i tappi di bottiglia. Questa la “top ten” dei rifiuti in spiaggia rinvenuti da Legambiente:

  1. Pezzi di plastica (14%);
  2. Mozziconi di sigaretta (14%);
  3. Pezzi di polistirolo (12%);
  4. Tappi e coperchi (7%);
  5. Materiale da costruzione (5%), tra cui calcinacci e mattonelle, tubi di silicone e materiale isolante;
  6. Pezzi di vetro o ceramica non identificabili (4%);
  7. Bottiglie e contenitori di bevande (3%);
  8. Stoviglie usa e getta, tra cui bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (3%);
  9. Cotton fioc in plastica (3%);
  10. Buste, sacchetti e manici (2%).

Ha sottolineato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente:

Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso: anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021. Dopo la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, cui abbiamo contribuito con le nostre instancabili denunce, diverse delibere comunali hanno anticipato il bando delle stoviglie usa e getta, mentre intere catene di supermercati ne hanno abolito la vendita: non possiamo vanificare gli sforzi fatti verso l’adeguamento alla direttiva, che vieterà alcuni prodotti monouso sul territorio nazionale e indicherà forti limitazioni e la responsabilità estesa dei produttori ad altri prodotti.

Plastic Tax e altri fronti normativi

Zampetti ha concluso il suo intervento sottolineando la necessità di iniziativa a più ampio respiro, anche su altri fronti normativi:

Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca. Servono passi avanti nella leadership normativa in contrasto al marine litter.

Importante includere anche i bicchieri di plastica nel bando nazionale, che la direttiva europea prevede solo di limitare, e consentire l’uso di oggetti sostitutivi fatti con materiali biodegradabili e compostabili non derivanti dal petrolio, così da potenziare la filiera del compostaggio dei rifiuti organici in cui l’Italia è leader in Europa. Misure utili ad accompagnare la transizione.

Fonte: greenstyle.it

 

Allarme alga tossica: alte concentrazioni a Bari

È di nuovo allarme alga tossica sul litorale di Bari. La pericolosa microalga è stata infatti rilevata nelle acque di Lido Trullo, così come spiega Repubblica. Questo agente è noto per i suoi effetti dannosi sulla vita di alcune specie marine, ma anche per il suo potenziale irritante per l’uomo.Tutte le rilevazioni del caso sono state condotte da Arpa Puglia, con la conferma di una fioritura di alga tossica nelle acque del litorale barese, dopo l’analisi di un campione d’acqua prelevato lo scorso 9 luglio. Così ha spiegato il comune di Bari:

Nell’ambito delle attività di gestione del rischio associato alle fioriture di ostreopsis ovata (più comunemente nota come alga tossica), Arpa Puglia ha comunicato che nel campione di acqua prelevato in data 9 luglio, in località Lido Trullo, è stata rilevata una concentrazione elevata di ostreopsis ovata oltre i limiti indicati dalle specifiche Nuove linee guida del Ministero della Salute.

Alga tossica: i sintomi
Conosciuta anche come Ostreopsis ovata, questa microalga non è semplice da identificare a occhio nudo date le sue minuscole dimensioni. Per questa ragione, vengono condotte analisi regolari sulle acque frequentate dai bagnanti, anche in relazione alle condizioni degli animali marini. Spesso l’alga tossica è responsabile della morte di stelle marine, un segnale di possibile contaminazione.

L’alga tossica può avere effetti anche sull’uomo, tali da determinare una sindrome da intossicazione. La contaminazione non avviene per contatto ma per inalazione di aerosol marino. L’Ostreopsis ovata può determinare sintomi come irritazione delle mucose respiratorie, congiuntivite, difficoltà nella respirazione, tosse e starnuti, dermatiti, rash cutanei e, nei casi più gravi, anche febbre. Colpisce anche diversi animali, come già accennato: nelle stelle marine può causare la perdita delle braccia e la rapida morte degli esemplari, mentre su cozze e mitili determina il distacco dalle rocce, con il conseguente decesso.

Fonte:greenstyle.it

 

Natura a rischio, entro il 2040 la plastica negli oceani potrebbe triplicarsi

Nel 2040 potrebbero essere 600 milioni le tonnellate di plastica nelle acque dei nostri oceani. L’equivalente di 3 milioni di balenottere azzurre. A renderlo noto una ricerca coordinata da Winnie Lau, dell’organizzazione non governativa Usa The Pew Charitable Trusts sulla rivista Science. Un contributo significato all’aumento è legato all’utilizzo di plastica monouso durante il periodo del Covid19.

Se non si prendono nuove misure o azioni per arginare il problema, la quantità di plastica degli oceani è destinata ad aumentare da 11 a 29 milioni di tonnellate in soli 20 anni, cifra che corrisponde a quasi 50 chili di plastica su ogni singolo metro di costa in tutto il mondo.

 

Un problema quello dell’inquinamento da plastica, che potrebbe essere risolto intraprendendo nuove abitudini. Secondo lo studio della rivista Science, per ridurre la presenza di plastica in mare dell’80% entro il 2040, bisognerebbe sostituire le materie plastiche con carta e materiali compostabili, progettare prodotti e imballaggi riciclabili e aumentare il riciclo. Tale iniziative permetterebbero anche il risparmio di 70 milioni di dollari e la creazione di 700 mila posti di lavoro. Se il tutto verrà demandato a governi e industrie, la quantità si ridurrebbe solo del 7% entro il 2040.

fonte:tgcom24

 

Ministero dell’Ambiente: “Dopo il lockdown mari italiani più limpidi”

I mari italiani sono particolarmente limpidi dopo il lockdown, con una situazione nel complesso stabile per le sostanze legate alle attività produttive. E’ quanto emerge dal monitoraggio straordinario effettuato dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) e dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto. Le analisi sono state condotte su 457 stazioni di prelievo.

“Il nostro impegno ora è fare sì che questi standard di qualità siano mantenuti”, ha detto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. . In diverse regioni la trasparenza è risultata con valori superiori alle medie stagionali. In alcuni tratti del ponente ligure la visibilità della colonna d’acqua arriva fino a 15 metri di profondità rispetto ai 10 delle precedenti stagioni.

Fonte:tgcom24

 

Ambiente, mascherine e guanti nelle reti da pesca: l’allerta di Fedagripesca

Un danno per l’ambiente ma anche per le attività in mare: guanti e mascherine anti-Covid abbandonati in mare finiscono nelle reti da pesca, un ennesimo rifiuto altamente inquinante che si aggiunge a bottiglie, buste di plastica, bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie e pneumatici. A denunciarlo è Fedagripesca Confcooperative, che ha raccolto le segnalazioni dei pescatori lungo le coste italiane.

“E’ impressionante la quantità di mascherine e guanti che porto a terra con le mie reti”, racconta Pietro, pescatore del Tirreno. “Va trovata una soluzione – osserva – perché così non possiamo andare avanti”.

Difficile fare un bilancio, ma già oggi nei nostri mari, ricorda Fedagripesca, finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica a cui si aggiungono ora i dispositivi.

Intanto in Thailandia c’è già chi ricava mascherine proprio dal riciclo delle reti da pesca, uno dei rifiuti più diffusi negli oceani. Un’idea che potrebbe prendere piede anche in Italia dove i pescatori già da anni sono impegnati nella raccolta delle plastica in mare e nel recupero degli attrezzi “fantasma”, quelli dispersi accidentalmente.

fonte:tgcom24